La messa è finita?

La Chiesa cattolica non è mai apparsa così forte e autorevole, nella società italiana. In questo inizio di terzo millennio, i laici sembrano scomparsi. Peppone non litiga più con don Camillo. A destra come a sinistra c’è un comune riconoscimento del ruolo del cattolicesimo nella nostra cultura. Quando vescovi e cardinali parlano, trovano sempre molto rilievo su giornali e tv e il papa gode di un’attenzione mediatica che non conosce crisi. Chi prevedeva che Nazinger non riuscisse a reggere il confronto con Wojtyla è stato smentito. Non solo: i più strenui difensori del papa e della Chiesa Cattolica sono diventati, paradossalmente, intellettuali (da Giuliano Ferrara a Marcello Pera) che ieri si proclamavano atei, magnificavano il libero pensiero, erano incalliti mangiapreti e oggi hanno scoperto la “profondità della cultura religiosa”, il “mistero insondabile della fede” e soprattutto le “radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente”. La religione da sventolare come bandiera politica? Forse, ma comunque da sventolare e tenere alta sui pennoni.
Ma c’è un però. La Chiesa, che oggi appare così forte, in realtà non è mai stata così debole. Cresce la strana pattuglia degli atei devoti, aumentano i suoi rumorosi difensori politici, ma calano i fedeli. Il papa è applaudito nelle piazze e “passa” spesso in tv, ma le chiese si svuotano. Di più: la crisi di vocazioni sta inaridendo il ricambio dei preti, sempre in minor numero e sempre più vecchi, come dimostrano le sempre più numerose storie di preti polacchi o africani approdati in varie diocesi italiane in difficoltà. E se la Chiesa Cattolica Romana si stesse avviando verso l’estinzione?
L’ipotesi è paradossale, ma i numeri della scienza statistica danno qualche sostegno al paradosso. La progressiva e inarrestabile decrescita dei preti, come il loro costante invecchiamento, sono certificati da una accurata ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli curata dal professor Luca Diotallevi e da Stefano Molina, presentata in un volume fitto di dati e tabelle, ma dal titolo che incrocia, nell’evocazione, geometria e vangelo: «La parabola del clero. Uno sguardo socio-demografico sui sacerdoti diocesani in Italia».
Primo shock: i preti diventano sempre più vecchi. L’età media dei sacerdoti diocesani in Italia è ormai di 60 anni. Il record di anzianità è delle Marche (età media 64 anni), seguite da Piemonte (63,7) e poi, via via, da Emilia, Liguria, Umbria, Triveneto, Toscana, Sardegna, Sicilia, tutte regioni in cui i preti hanno un’età media superiore ai 60. Più giovane — si fa per dire — il clero in Lombardia (età media 58 anni) e poi in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata. Il record di gioventù va a Lazio e Calabria, con un comunque poco consolante 54 anni e mezzo di media.
Secondo shock: è sempre più difficile rimpiazzare i preti che se ne vanno. In Italia il 40 per cento di chi esce dalla parrocchia (per pensionamento, per invalidità o per decesso) non viene sostituito. In alcune regioni la situazione è drammatica: nelle Marche e in Piemonte le uscite sono tre volte le entrate. Appena meglio in Lazio, Calabria e Puglia. Così così in Lombardia.
Terzo shock: i preti diminuiscono in tutta Italia. Oggi sono poco meno di 32 mila i sacerdoti diocesani. Un terzo di essi (10 mila circa) sta in Lombardia e Triveneto (Umberto Bossi direbbe: in Padania). Poi 2.700 stanno in Piemonte, 2.500 in Emilia-Romagna, 2.200 in Sicilia, altrettanti in Campania, in Toscana, nel Lazio. Attenzione, però: i preti erano 69 mila (più del doppio) agli inizi del Novecento, a disposizione di una popolazione di appena 33 milioni di italiani. Insomma: c’era 1 prete ogni 500 abitanti. Oggi la popolazione in Italia ha appena raggiunto i 60 milioni di persone, dunque c’è un prete ogni 2 mila abitanti (per la precisione, 0,53 ogni mille). Certo, le statistiche ci dicono che in Italia ci sono più sacerdoti che ostetriche (0,26 per mille abitanti), più preti che ricercatori universitari (0,36 per mille abitanti). Ma ci sono meno sacerdoti che odontoiatri (0,60 per mille abitanti), che psicologi (0,66 per mille), che commercialisti (0,89 per mille abitanti). E naturalmente meno preti che insegnanti (sono 21,4 ogni mille italiani).
Non tutta l’Italia è uguale. Va peggio nel centro-sud, soprattutto in Puglia, Sicilia, Lazio e Campania, dove i sacerdoti — dicono le statistiche — sono sotto lo 0,5 ogni mille abitanti. Va meglio invece nel centro-nord e soprattutto in Umbria, nelle Marche e nel Triveneto, regioni in cui ci sono 0,8 preti ogni mille abitanti. Bene, dunque? No, perché maggior densità vuol dire anche maggior anzianità: nelle zone d’Italia dove ci sono più preti, questi sono più vecchi.
Se i preti diocesani non stanno bene, non stanno meglio neppure gli ordini religiosi, i frati, i monaci (20 mila persone complessivamente). Statistiche e numeri precisi in questo campo non ce ne sono, ma è un fatto che si svuotano anche le case religiose, i conventi e i monasteri. Che fare, per “mater ecclesia”? Chi resta deve rimboccarsi le maniche e “lavorare” di più? La domanda è cinica ma concreta: la diminuzione degli addetti in tanti settori del mondo del lavoro è bilanciata dall’aumento della produttività; ma questo si può fare anche per il “lavoro” di preti, frati, monaci, suore? Risposta difficile. Innanzi tutto perché si tratta di un “lavoro” assolutamente particolare, fatto di riti ma anche di insegnamento, di relazioni, di testimonianza, di esempio di vita… E poi perché per i sacerdoti l’organizzazione del lavoro è molto articolata. In Italia ci sono 26 mila parrocchie. Dunque già oggi nel nostro paese operano, in media, 1,2 preti a parrocchia. Se questo rapporto diminuirà fino ad arrivare sotto l’un sacerdote per parrocchia, le parrocchie rimaste senza prete dovranno chiudere. O si dovranno affidare a preti che stanno nella parrocchia accanto e andranno “in trasferta” a celebrare qualche rito (la messa, la confessione, matrimoni e funerali).
All’estero va anche peggio. Sì, fuori dai confini dell’Italia la situazione è ancora più grave. Anche in Paesi tradizionalmente cattolici come la Spagna e il Belgio: oggi i preti sono solo 0,46 ogni mille abitanti. E ancor più in Francia e Austria: hanno soltanto 0,31 sacerdoti ogni mille abitanti. La Chiesa rischia davvero l’estinzione?
Intanto c’è il “clero d’importazione”, o “clero immigrato”. Le definizioni non sembrino irriguardose: sono le definizioni ufficiali usate nelle ricerche demografiche e sociologiche. In Italia ci sono — numeri di fine 2008 — 1.500 sacerdoti stranieri, nati all’estero ma incardinati nelle diocesi italiane. Mica pochi: sono il 4,5 per cento dei preti diocesani. La regione con più preti stranieri è il Lazio, dove sono ben 462 (il 21,3% del clero totale). In Toscana sono 230 (il 10,3%). Nel Triveneto sono 106, un numero che pesa però solo per il 2 per cento del clero. Nell’Abruzzo e Molise sono 105, in Umbria sono l’11,8%.
I freddi numeri sui preti stranieri non raccontano le difficoltà concrete che incontrano. Difficoltà culturali: non sempre un prete proveniente da un ambiente diverso e da una diversa cultura riesce a entrare in perfetta sintonia con la sensibilità, le attese, le difficoltà dei fedeli italiani. In più — inutile negarlo — ci sono difficoltà di accettazione. Ha fatto clamore, nell’ottobre 2008, il caso di padre Joseph Moiba, 37 anni, nato in Sierra Leone e cacciato dalla sua parrocchia, a Oppdal, nella civilissima (e protestante) Norvegia. Senza arrivare al rifiuto razzista del prete nero, anche in Italia a volte scatta il pregiudizio, magari inconscio, del cristiano italiano nei confronti del sacerdote “arrivato da fuori”, ritenuto da alcuni incapace di comprendere i problemi e inadeguato a ricevere le confidenze più intime.
Da dove vengono i preti nati all’estero? Dalla Polonia innanzitutto, come don Pietro a Frosinone: «Accolto benissimo dai miei parrocchiani». In totale, sono 232 i sacerdoti prestati all’Italia dal Paese di Wojtyla. Poi dallo Zaire: 96. Dalla Colombia: 86. Dall’India: 82. E poi dalla Romania, dal Brasile, dalla Nigeria, dalle Filippine, dall’Argentina, dal Venezuela, dal Congo… Ma anche da Francia, Stati Uniti, Germania, Svizzera… I preti stranieri sono molto più giovani, hanno un’età media molto più bassa dei locali. Saranno loro la salvezza della Chiesa Cattolica?
Intanto però, anche con i rinforzi stranieri, la diminuzione del clero continua inesorabile. Lo dimostra una simulazione statistica realizzata dai ricercatori della Fondazione Agnelli: per mantenere l’attuale numero di preti, mantenendo inalterati gli attuali volumi d’ingresso, in Piemonte i preti dovrebbero restare in servizio 108 anni dopo la loro ordinazione, 118 nelle Marche. Evidentemente impossibile. Dunque il calo è inevitabile. Anche perché ogni anno arrivano sempre meno nuovi preti: le ordinazioni sacerdotali sono in caduta dal 1999: quell’anno erano 550, sono scese progressivamente fino alle 435 del 2003. I dati ufficiali si fermano a quell’anno, ma la tendenza alla diminuzione è confermata, informalmente, anche per gli anni seguenti. Di quei 435 nuovi sacerdoti, ben 77 (quasi il 18%) sono stranieri. Gli altri da dove vengono? Basilicata e Calabria sono le regioni più generose, seguono Abruzzo, Puglia e Liguria. Ultime: Sardegna, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana. Ci sono regioni che addirittura esportano preti (Sicilia, Sardegna, Puglia, Lombardia…) e regioni che invece (come Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo…) sono costrette a importarli da altre zone.
Come andranno, dunque, le cose tra dieci, vent’anni? Anche se continuassero a entrare ogni anno circa 500 preti, il calo sarebbe costante, a causa delle uscite. I 32 mila preti di oggi diventerebbero, secondo i calcoli statistici, 28 mila nel 2013, 25 mila nel 2023 (e di questi, 2 o 3 mila saranno stranieri). Le cose andranno peggio se continueranno a calare anche le ordinazioni. Drammatica la situazione in alcune regioni, come la Lombardia, dove il calo sarà almeno del 20%, o come il Piemonte, dove sarà addirittura del 40%. Tengono solo Lazio, Basilicata e Calabria, mentre i preti d’importazione passeranno dall’odierno 4,5 per cento a un sostanzioso 10,3.
In realtà le cose andranno anche peggio, e per una ragione non religiosa (il calo delle vocazioni), ma prettamente statistica: in Italia c’è una progressiva diminuzione demografica dei maschi. Diminuisce la platea da cui attingere i preti, che per la Chiesa cattolica possono essere solo maschi. Dunque diminuiranno inesorabilmente anche i sacerdoti, anche a tassi di reclutamento costanti: le ordinazioni passeranno, secondo i calcoli statistici, dalle 421 del 2003 alle 367 del 2010, fino alle 314 del 2015 e alle 297 del 2020. Risultato: la previsione di 25 mila preti nel 2023 va ulteriormente abbassata a 23 mila preti. E questo a tassi di reclutamento costanti, mentre l’esperienza ci dice che il reclutamento cala…
Dunque la Chiesa cattolica continua dolcemente il suo cammino verso il declino. Sempre più minoranza in una società che apparentemente la applaude, ma in realtà la usa. Per bloccare questa tendenza e almeno stabilizzare il numero dei sacerdoti oggi presenti, dovrebbe verificarsi un incredibile aumento delle vocazioni, con incrementi del 77% nazionale che in alcune regioni, secondo i calcoli degli statistici, dovrebbe essere addirittura del 200%. Sarebbe davvero un miracolo.

Oppure, finalmente, Mater Ecclesia potrebbe abbandonare il celibato del clero. Anacronistico. Ma soprattutto insensato, alla luce degli stessi testi sacri — Gesù “il Cristo” non ha mai detto nulla in proposito — e delle abitudini di ogni tempo e di ogni luogo da parte del clero. Addirittura, nell’ambiente giudaico che fu humus di Gesù, i rabbi dovevano essere sposati.

Ammettendo il matrimonio per i preti — che potrebbero così diventare padri di famiglia, e forse capirebbero molto meglio il mondo e come funziona! —, Mater Ecclesia risolverebbe in un sol colpo il problema della pedofilia del corpo sacerdotale e il pericolo dell’estinzione del cattolicesimo.
“Famiglia cristiana”: sì, a partire dai preti. Se allevi dei figli, e lo fai nell’amore insieme ad una compagna che è anche madre, puoi trasmettere un messaggio qualitativamente molto migliore al tuo gregge, che non da un pulpito costruito su fondamenta di privazioni, coercizioni psicologiche e afflizioni contro-natura che durano tutta una vita…

(continua qui)

Una risposta a "La messa è finita?"

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  1. Ratzinger è gay…tutti lo dicono anche tra le mura vaticane… Wojtyla era omofobo, con violenza, questo lo è con subdola compostezza, con una finezza e dolcezza anche più inquietante…. E’ effeminato nei modi e nel parlare…lo vede anche un bigotto che porta il paraocchi…si tira sempre tra i piedi, o tra le cosce un segretario che sembra un attore di Hollywood, come prima da cardinale ne aveva uno sempre bello da mozzare il fiato…. Ma è un gay che non si ama…lo si vede lontano un miglio che detesta se stesso… anche da come apre le braccia e da come sorride senza luce e senza convinzione nè calore e per dirla con Fromm, non può che riversare il suo odio, simulato e malcelato, in una forma religiosa e una morale che sono mortificanti e mistificanti, che propongono una santità devozionale intrisa di rinuncia e oppressione, una santità malata e misantropa, pessimista , dove Dio non è che un super ego castrante e duro, gelido e teutonico (per stare in tema).

    Non si è buoni, nè in armonia col mondo e col proprio corpo e spirito perchè ci si riveste di una bianca talare…. nè si è ciò che si vuol sembrare…. E’ tremendo che sia diventato Papa uno che ha passato la sua vita a dover castrarsi e castrare gli altri, parlo dei teologi soprattutto, finiti sotto la sua mannaia di Gran Inquisitore, coadiuvato da piccoli e grigi mediocri squallidi personaggi delle Curie….. La verità è che nessuno (tranne eccezioni) nel Vaticano e dentro le varie Curie ha sopportato di veder crescere l’eredità di quel grande uomo che fu Papa Roncalli , Giovanni XXIII, quello sì grande uomo di rinnovamento e di profonda umanità che capiva e precedeva quasi i segni dei tempi, profetico e veramente semplice di animo, diciamo in una parola evangelico e cioè autentico.

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